PORTE E FINESTRE – PRIMA PARTE

La finestra come “veduta”.
Iniziamo un nuovo percorso, prendendo in esame alcune opere in cui porte o finestre costituiscono elementi rappresentativi o simbolici di rilievo. Non sarà un discorso sull’architettura, ma per introdurlo partiamo da un brano che parla di essa. E’ tratto dal libro “La finestra e la comunicazione architettonica” del 1979 di Giannino Cusano:
“La finestra non è un semplice «buco nel muro», ma uno strumento linguistico fondamentale in due sensi: a) configura e vitalizza lo spazio quantificandone e qualificandone la luce; b) segnala nel volume e sulle superfici le funzioni interne dell’edificio. Dal Medioevo al barocco, dal razionalismo all’espressionismo, da Wright a Le Corbusier e Mendelsohn, la finestra comunica l’intero dramma architettonico. Taglia e cuce, levita o appesantisce, squarcia o morde il masso costruito, media o rende più dissonante il rapporto tra pieni e vuoti. In sostanza, una finestra offre la carta d’identità di un architetto e di un costume urbano, fornendo un mezzo diretto per «leggere» l’architettura”.
In questo percorso vedremo invece porte e finestre soprattutto nel loro aspetto simbolico.
Prescindendo da ogni considerazione di storia dell’architettura, possiamo senz’altro dire che nel nostro immaginario comune porte e finestre si trovano su una linea di confine, che separano un “dentro” (l’ambito del privato, del familiare, del conosciuto) da un “fuori” (l’ambito del pubblico, dell’ignoto).
Porte e finestre costituiscono delle aperture di accesso, tramite le quali il “dentro” e il “fuori” sono messi in relazione. La porta presuppone la possibilità di entrare in un certo luogo o di uscirne per entrare in un altro; la finestra da’ modo alla luce di penetrare all’interno di uno spazio chiuso e fonda la possibilità “del guardare fuori”.
Ma la percezione di ciò che è “interno” e ciò che è “esterno” varia nei secoli. Addirittura si potrebbe studiare il mutamento di questa percezione osservando come porte e finestre sono state rappresentate nelle arti figurative.
Nel Rinascimento la finestra aveva essenzialmente una funzione di “veduta”. Se si osservano le opere di questo periodo, ci rendiamo conto che le finestre rappresentate non hanno cornice, non hanno confini precisi. Sono più che altro dei “ritagli” che portano l’esterno, cioè il paesaggio, all’interno. La finestra non è una cesura che delimita il mondo privato da quello pubblico, ma piuttosto il mondo della cultura (il soggetto rappresentato all’interno) da quello della natura.
In questo quadro del Tiziano (di cui esiste anche la variante con il “cagnolino” al posto dell’amorino) rende bene il concetto su esposto. L’ampia finestra che vediamo a sinistra, più che una finestra vera e propria che delimita uno spazio interno, è una ampia veduta del paesaggio esterno.
Inoltre c’è un altro elemento da valutare.
Con il Quattrocento la prospettiva lineare diventa l’unico modo di rappresentare la realtà, quasi voluto da Dio e dalla sua perfezione, e questo primato rimarrà tale per almeno quattro secoli.
In questo metodo di rappresentazione dello spazio, il punto di fuga diventa il fulcro di tutto il quadro, il suo centro non solo geometrico ma simbolico. Come si vede in quest’opera del Tiziano, il centro della prospettiva, il punto di fuga è posto fuori dallo spazio rappresentato in primo piano e quindi fuori dalla finestra, nel paesaggio stesso. Questo elemento testimonia ancor di più il fatto che spazio interno e spazio esterno non sono in contrapposizione, non formano due realtà totalmente distinte, come vedremo invece nelle rappresentazioni dei secoli successivi.
Tiziano: Venere con organista e amorino, 1550.
38 Tiziano - venere con organista

La pittura come “finestra aperta sul mondo”.
Come lo specchio, anche la finestra affascina per la sua ambiguità: oggetto apribile e chiudibile al tempo stesso, separa e unisce, permette di vedere e di essere visti oppure di celare e di celarsi, contiene in sé la trasparenza del vetro e l’opacità del battente o della tapparella.
Come lo specchio inoltre, anche la finestra è un simbolo con cui l’artista può riflettere sul proprio mestiere di “fare pittura”. In una poesia Rainer Maria Rilke scriveva: «Non sei forse tu, finestra, la nostra geometria, forma così semplice che senza sforzo circoscrivi la nostra vita immensa?».
Rilke era attratto dalle finestre, convinto com’era che la loro forma modellasse la nostra idea del mondo: circoscrivendo una porzione della realtà, esse ci permettono di avere una visione chiara, altrimenti inattingibile nella vastità confusa della nostra “vita immensa”. Ma questa intuizione non era una novità, ma si poneva nel solco di una tradizione che ha la sua origine nell’Umanesimo, quando la pittura occidentale si era data l’obiettivo di farsi mimesi del reale e per questo aveva codificato i principi della rappresentazione dello spazio nella geometria della prospettiva lineare.
Già allora la finestra era stata caricata di implicazioni simboliche, rinvenibili per esempio nelle parole di Leon Battista Alberti, tratte dal suo De pictura del 1436, con le quali suggerisce ai pittori un suo efficace artificio per riprodurre fedelmente il reale: per farlo, scriveva, io «disegno un quadrangolo di angoli retti … il quale mi serve per un’aperta finestra dalla quale si abbia a veder l’istoria» (Libro I, 19). Tutto ciò è stato riassunto in seguito coniando la definizione di pittura come “finestra aperta sul mondo”, cioè la pittura imita la realtà e per far questo ricorre agli artifici matematici della prospettiva lineare. Questa impostazione ha fatto della finestra uno dei “luoghi topici” dell’arte occidentale, una metafora della pittura, in quanto la finestra permette di guardare, ma allo stesso tempo limita la visuale e impedisce all’osservatore di disperdersi. Riassumendo, nel Rinascimento la finestra non rappresenta una soglia, un confine, ma uno strumento visivo e concettuale, un dispositivo ottico, uno sguardo prospettico che organizza e misura “matematicamente” l’essenza dello spazio.
La “finestra” albertiana è la base della concezione dell’arte occidentale dal Rinascimento alla seconda metà dell’Ottocento: una concezione come si è detto mimetica, che concepisce il quadro come apertura sul mondo, come umanistica proiezione dell’occhio umano, che deve trovare corrispondenza tra immagine mentale e la realtà fuori di sé. La cessazione di questo criterio è invece decisiva nel produrre la nascita dell’arte contemporanea, in cui la finestra ricorre con un senso del tutto diverso.
In questo dipinto del Credi è illustrato bene il concetto rinascimentale di finestra. Anche qui il punto di fuga si situa oltre la porta, nel paesaggio esterno, mentre le aperture, più che rappresentare delle soglie che delimitano uno spazio interno distinguendolo da quello esterno, sono i dispositivi ottici che permettono l’organizzazione della rappresentazione spaziale.
Lorenzo Di Credi, Annunciazione, 1480, Galleria degli Uffizi, Firenze.
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Una finestra nell’occhio.
Si, avete visto bene: è un leprotto. Vi starete chiedendo cosa c’entra una lepre con porte e finestre. Eppure, se ingrandite l’immagine e guardate nell’occhio di questa bestiola, vedrete raffigurata una finestrella luminosa.
Questa lepre è un acquerello e guazzo del pittore tedesco Albrecht Dürer, che usava inserire il riflesso di una finestra negli occhi dei suoi personaggi, compreso se stesso nei famosi e numerosi autoritratti, e sia nei dipinti che nei disegni e nelle incisioni.
I suoi volti ritratti sono collocati per lo più nel bel mezzo di uno spazio indefinito e quasi impenetrabile – perché costituito spesso da un fondo scuro -, e tuttavia sono ancorati a quello spazio grazie al piccolo dettaglio di una finestra (detta “lustro”) che si riflette nei loro occhi. Ma, oltre a donare un’espressione viva e vitale ai volti ritratti, qual è il significato di queste finestre?
Per alcuni studiosi il lustro nell’occhio rappresenta simbolicamente la redenzione, forse però è più verosimile considerarlo una cifra stilistica, cioè un elemento di riconoscimento dell’autore. Ma c’è un’altra ipotesi plausibile.
Dürer compì accurati studi di geometria proiettiva. In base a questa, come abbiamo visto a proposito di Leon Battista Alberti, la superficie di un quadro è una finestra di vetro attraverso la quale l’artista vede il soggetto da rappresentare. Le linee di visione che partono da questo soggetto e arrivano all’occhio passano attraverso il vetro della finestra, e i punti nei quali le linee attraversano la superficie della finestra formano una proiezione del soggetto sopra detta superficie. Questo è testimoniato in varie incisioni di Dürer, come ad esempio il “Prospettografo” del 1525, dove l’artista rappresenta il modo in cui ritrae un uomo seduto. L’occhio è uno specchio su cui si riflette la realtà, quindi su cui si riflette anche la finestra attraverso la quale quella realtà viene vista e rappresentata. L’ipotesi è dunque che quella finestrella negli occhi dei suoi personaggi richiami simbolicamente la finestra da Dürer usata per realizzare quei ritratti, o meglio evochi la metafora della finestra come sguardo sul mondo, e in questo modo divenga un segno che riassume l’atto della rappresentazione stessa. Cioè quella finestrella racconterebbe qualcosa sul modo in cui quel quadro viene creato dall’artista. E’ solo un’ipotesi, ma abbastanza plausibile come le altre.
Soffermiamoci ancora un momento su un paio di questioni attinenti la visione rinascimentale della pittura come “finestra aperta sul mondo” e la connessa prospettiva lineare, perché ci torneremo in seguito:
1. – Una caratteristica dell’immagine prospettica è quella di assegnare una precisa collocazione spaziale allo sguardo dell’osservatore, sia di chi dipinge che di chi osserva il quadro. La strutturazione della prospettiva avviene mediante la collocazione dell’occhio del pittore in un punto fisso e in quello stesso punto dovrà collocarsi anche l’occhio dello spettatore, per poter avere una visione adeguata. Tutta la prospettiva lineare è costruita per modellare la percezione che il soggetto ha di una certa realtà.
2. – Cosa comporta assumere la finestra a modello del nostro modo di vedere il mondo, presupposto su cui si basa la prospettiva lineare? Comporta innanzitutto dividere lo spazio in due parti, rispettivamente di qua e di là da essa, poste dunque l’una di fronte all’altra, Assumere la finestra a modello del nostro modo di vedere il mondo significa dunque concepire la visione come un’operazione caratterizzata dalla distanza e dalla separazione fra colui che vede e ciò che è visto.
Notiamo che questi due elementi analizzati sono tra loro in opposizione: da un lato la prospettiva crea una distanza tra l’uomo e le cose, dall’altra elimina questa distanza, assorbendo quelle cose nell’occhio dell’uomo, cioè nel suo punto di vista; da un lato la prospettiva si basa su regole matematicamente esatte, oggettive (la pittura “imita” la realtà oggettiva attraverso una costruzione geometricamente strutturata), dall’altro fa dipendere quelle regole dall’osservatore, in quanto la prospettiva si basa sulla percezione individuale, che avviene da un certo punto di vista che è del tutto soggettivo. Questa tensione tra i due poli opposti di soggettività e oggettività conferisce all’immagine prospettica una caratteristica di ambiguità. Il Rinascimento parte dall’affermazione che la pittura imita una realtà oggettiva, ma in realtà la prospettiva stessa non è che un modo di rappresentare una percezione soggettiva. Tutto ciò fa si che la storia della prospettiva, e quindi la storia della rappresentazione pittorica di quattro secoli, possa essere vista da un lato come il trionfo del primato della realtà, cioè dell’oggettività, dall’altro come il trionfo della volontà di potenza dell’uomo che tende ad annullare ogni distanza e a imporsi sulla realtà stessa (si veda E. Panofsky, La prospettiva come ‘forma simbolica’).
Albrecht Dürer, Leprotto, 1502.
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Albrecht Dürer, Ritratto di Frederick the Wise, 1524 (Particolare).
Albrecht Dürer's 1524 portrayal of Frederick the Wise
Albrecht Dürer, Prospettografo.
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